Nati per comprare

Si polemizza su tutto ma la pubblicità non viene mai messa in discussione. Dopo il classico saggio del Vance Packard “I persuasori occulti” del 1957, la critica vola bassa. Mass media, cultura, ricerca, sport, istruzione e sempre più attività umane dipendono dai fondi garantiti dalla “reclame” e dalle sponsorizzazioni. La pubblicità è un lavoro ambito da artisti, registi, attori, musicisti e se dici “creativo” ormai pensi subito a pubblicitario. Tante campagne sono divertenti ma colpisce la scarsa riflessione su questa macro realtà così pervasiva. In Italia l’ultima polemica che ricordo data anni Ottanta, sugli spot che interrompono i film spezzando la continuità del racconto e quando è apparsa la prima scatola di tonno sul “manifesto”. Oggi è tutta una gara per averla e siamo campioni mondiali dell’invasione: se sfogli un settimanale le notizie importanti galleggiano in un effimero di gioielli, borse, scarpe, vestiti, biancheria; se viaggi scorgi a stento il paesaggio, tra un cartellone e l’altro; il centro delle città d’arte è sommerso da tutta la gamma disponibile, dal maxi cono gelato di plastica a raffinate foto gigantesche agli schermi multipli nelle stazioni. Strozzati dalla penuria e disabituati alla semplicità e al riserbo, si cercano sponsor persino per i matrimoni. La lotta tra tv e giornali per avere pubblicità è all’ultimo sangue, con un concorrente formidabile: Internet, e attori, sportivi, celebrità varie fanno la fila per diventare testimoni di merci dalla corta durata rinominate “stili di vita”, “sogni”, “identità”. I”creativi” hanno idea delle cose inutili se non dannose che promuovono, non soffrono di come sprecano la loro genialità? Ma qualcuno fa altro: Oliviero Toscani disorienta, i bravissimi pubblicitari canadesi pentiti che hanno fondato Adbusters (1989) cambiano il messaggio con piccole modifiche (esordio con le stelle della bandiera degli Stati Uniti che mutano nel logo delle multinazionali) e ne usano il linguaggio per campagne formidabili, l’ultima è stata lanciare Occupy Wall Street, e in Germania la rivista “Oeko-test” informa puntualmente su quali siano i prodotti migliori e quali i peggiori. La pubblicità confeziona immagini e storie che annullano il percorso oscuro delle merci: i rifiuti che lasciano, lo sfruttamento di chi lavora, la distruzione di natura. Resta ai vari Report e Watchdog svelare la chimica nel piatto, i prodotti cancerogeni, l’inquinamento, da quale triste realtà arrivano la carne o i fiori recisi. Uno degli sfondi preferiti per gli spot tv è la casa, un mondo di famiglie felici alla Truman show sempre a tavola, altre volte una sorta di ospedale dove tutto si disinfetta, per la salute dei bambini. Pessima informazione. I bambini hanno bisogno di sporcarsi per rafforzare le difese immunitarie e l’acqua e il cibo non migliorano se aggiungi rimedi da foresta tropicale, anzi. Piccole vittime, i bambini sono i consumatori più preziosi, per le imprese sono nati per comprare. Il messaggio centrale per grandi e piccoli è il credo post moderno: desidera. (Martin Lindstrom, “Brand­ washed”, NY 2011). A volte i sistemi sconfitti non scompaiono. migrano e cambiano nome. Marketing, ad esempio. La pubblicità in fondo è una forma sofisticata di propaganda per diffondere il verbo consumista e la ricerca ossessiva di informazioni sui possibili clienti e sulle loro abitudini di acquisto è fatta con tecniche di manipolazione che relegano la Stasi nel mondo dei dilettanti.