Giovanna Ricoveri

Giovanna Ricoveri Introduzione al pensiero teorico-pratico di Giuseppina Ciuffreda Grazie a tutte/i di avere accettato il nostro invito a questo primo incontro sul pensiero e sulla figura di Giuseppina Ciuffreda. Noi – gli organizzatori di questo incontro – ci proponiamo con questa iniziativa di commemorare Giuseppina nel giorno del suo compleanno, il 30 novembre, e … Leggi tutto

Vandana Shiva

Vandana Shiva Grazie, Giuseppina Oggi che il giornalismo indipendente è sempre di più sotto attacco, quelli di noi che hanno lavorato insieme nel movimento ecologista sia in Italia che all’estero, negli anni in cui emergeva a scala internazionale la cultura ecologica – dall’incontro di Rio nel ’92 fino ad oggi – hanno avuto la fortuna … Leggi tutto

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De Marzo Dalla parte degli Indios La memoria e il pensiero di Giuseppina sono molto importanti perché utili ed indispensabili strumenti dell’alternativa nell’epoca delle crisi. Come per tanti di noi, il rapporto che mi lega a Giuseppina è molto forte. Uso il presente perché nella mia concezione delle cose le relazioni non svaniscono, quando … Leggi tutto

Wolfgang Sachs

Wolfgang Sachs Conversazioni a Roma e Berlino 1. Il mio primo ricordo di Giuseppina risale all’estate 1984, a cena sul terrazzo del mio appartamento di Roma. Allora parlavamo entrambi male, io l’italiano e lei l’inglese, ma siamo riusciti comunque a comprenderci. Giuseppina era curiosa dei Verdi tedeschi, mentre io cercavo di capire perché in Italia … Leggi tutto

Gianni Riotta

Gianni Riotta

Un’anima chiara e lineare

Per caso, in ritardo, apprendo della scomparsa della mia adorata amica Giuseppina Ciuffreda. Mi prendeva sempre in giro “Ma non ti fermi mai” e i troppi viaggi mi hanno fatto perdere la notizia della sua fine, nel luglio del 2015. Qualcuno oggi mi ha chiesto del mio segno zodiacale e ho detto sovrappensiero “Capricorno ascendente Scorpione” e mi è venuta in mente Giuseppina che, nell’estate rovente del 1977, mi aveva spiegato i calcoli delle Effemeridi e i miei segni. Sorrideva con la sua malizia straordinaria, “Ecco la tua sfida: La Ragione del Capricorno e la Passione dello Scorpione”. Giuseppina era stata una delle fondatrici del manifesto, poi una sua giornalista, inviata in Europa orientale, e sempre femminista. Ma in lei non c’era un filo dell’albagia snob che spesso pesava sul Manifesto (io primo colpevole). Era leale, aperta, sincera, amorevole, schietta, coraggiosa. Il 6 ottobre del 1981 quando uccisero il Rais egiziano Sadat, andò al Cairo senza credenziali e per passare i controlli feroci usava il tesserino che le prestava un’altra grande amica e giornalista che non c’è più, Lietta Tornabuoni. Due mie compagne di banco, il manifesto e La Stampa: provate a immaginare una simile solidarietà oggi.

Giuseppina scriveva in modo chiaro, lineare perché la sua anima era chiara e lineare. La politica, le sue ambizioni, la volgarità, il cinismo, scivolavano inerti via dalla sua spiritualità. Il suo amore, la forza nelle tragedie che la colpirono, erano mossi tutti dalla stessa origine, Giuseppina colmava di compassione per le persone, le ascoltava con serena partecipazione. Quando la redazione del manifesto si divise in una scelta di fondo tra ragioni che, allora come adesso, sono cruciali, Giuseppina fu tra i pochissimi che seppero tenere amici in entrambi gli schieramenti, perché per lei, virtù rara in politica, le persone venivano prima delle “posizioni”. Incapace di invidia, di rancore, di rabbia, Giuseppina mi ricordava un personaggio di Tolstoj, la donna che nel racconto “Padre Sergio” si rivela la vera fonte di santità. Padre Sergio cerca la virtù nelle armi, nella Chiesa, nel misticismo, nell’eremo, ma alla fine, in fuga, comprende che la vera virtù è la semplice vita di una sua compagna d’infanzia, perfetta, generosa, coraggiosa. Giuseppina Ciuffreda era come la santa di Padre Sergio. Se la perfezione non è data a noi umani, poche persone che io abbia conosciuto nella vita ci sono andate più vicino di lei. Starle accanto era sentire un calore, un carisma indimenticabile.
Pensavo che ti avrei rivista sorridere Giuseppina, non mi aspettavo che il pensiero delle tue Effemeridi, cercarti su Google per sentirci, mi riservasse oggi questo dolore. Tu sai cosa ci siamo detti, lo sai, e adesso da questa parte della vita io sono il solo a sapere. La ragione e la passione sono due obiettivi per me irraggiungibili, per te erano la santità e la perfezione e li hai colti, senza smettere di sorridere. Ovunque tu sia proteggimi, in ricordo di quelle nostre parole sconosciute a tutti, dei segni misteriosi che tu sapevi cogliere nel cosmo sul nostro destino.

Rossana Rossanda

Rossana Rossanda

Conversazioni a Roma e Berlino

Ho conosciuto tardi Giuseppina Ciuffreda, figura di punta nel frastagliato femminismo romano. Lei era quella che aveva mollato un manrovescio ad un compagno maschio (e non era dei peggiori) per una sua stupida battuta; non era certo una donna che si faceva dominare. Del resto arrivò tardi al femminismo, verso la fine degli anni settanta; che era di difficile dimensione sia per il movimento operaio storico sia anche per la fiammeggiante traccia segnata nel 1968. Esso non è mai stato davvero digerito, la sinistra è morta, fra l’altro, forse proprio per questa sordità.

Come che sia, io me ne sarei andata per la mia strada, segnata dal tradizionale impegno sociale e solo qualche anno dopo avrei conosciuto davvero Giuseppina. Essa già lavorava in una importante istituzione dello stato e io le dissi senza troppo crederci: perché non vieni a lavorare con noi? Sono rimasta stupefatta quando il giorno dopo mi dice: allora d’accordo, vengo domani. E così venne. Lavorammo assieme alcuni anni in via Tomacelli. Non era nella mia stessa lunghezza d’onda ma in qualche modo mi proteggeva dalle difficili vicissitudini di una crisi che cominciava nel collettivo del manifesto e forse più oltre. Io ero grata della sua presenza che noi, come era nostra regola allora, non le impedimmo mai una sua assoluta libertà. Ti faceva seguire anche itinerari del tutti insoliti, irrituali. Adesso non saprei come definire diversamente la sua curiosità anche per certi aspetti misterici dell’esperienza. Mi comunicava: vado qualche giorno in Scozia per una festa del plenilunio. Scrisse sempre quel che voleva: una sola volta ebbi un sussulto di fronte a una troppo evidente differenza di formazione e cultura: riempì una pagina di elogi per i Cavalieri templari. Superavamo sempre dissensi e differenze ma per affetto e protezione l’una per l’altra. Al tumultuoso arrivo della crisi dei valori degli anni ‘68 Giuseppina poneva sempre la sua voce calma e ferma, mai alterata, neanche quando attraverso i corridoi risuonava un suo secco “Ora basta”. Negli stessi anni lavorammo fra un gruppo di amiche a una rivista femminile, Orsaminore, che non so neppure perché si interruppe. Forse ero io a non capire le ragioni delle altre.

Poi partì e l’avrei ritrovata a Berlino all’inizio del secolo. Studiava il tedesco e ci intratteneva sulla coltivazione delle rose del suo balcone. Ma continuava a definirci “le orse” e lei precisava “femmine mediterranee”. Mi accompagnò a conoscere quella città drammatica, mostrandomi le targhette con il nome degli ebrei perseguitati sul selciato nel silenzioso memoriale dello sterminio: la Germania ha avuto il coraggio che alla frivolezza italiana è mancata di riconoscere la sua responsabilità, mentre noi ci riparavamo dietro alle tesi secondo le quali il fascismo era un’altra cosa dalla spietatezza nazista.

La particolarità della nostra più che amicizia fu che non ci capitò mai di soffermarci, e forse neanche di discutere dei dissensi. E anche quando aderì alla tesi dei “beni comuni”, in buona parte strumentalizzata nella polemica contro la classe e lo stato dopo il 1989, che io non condividevo, andò alla ricerca delle origini dei commons: ne stava scrivendo un libro del quale deve essere rimasta più che qualche traccia.

In quegli anni, o subito dopo, la sua vita non semplice conobbe la tragedia: all’inizio di un pesante novembre, suo figlio, che curava da sé una tossicodipendenza, venne arrestato e messo senza soccorso a Regina Coeli. Vi morì. Giuseppina poté vederne soltanto le fotografie, crudelissime, mentre le fu rifiutato di rendergli giustizia.

Tornò ancora a Berlino, malatissima. Non conosco la fase finale della sua malattia. Mi accorgo che evitavamo di scriverci sulle fatiche delle nostre esistenze. Cara Giuseppina, protettrice e amica incondizionata, sempre un passo avanti su sé stessa, sempre in ascolto di quella presenza che mi disse una volta visitando il Pergamon: non so se si debba chiamare Dio, ma che era come un messaggio lasciato nel tempo alle civiltà. Civiltà che lei decifrava con un sorriso sapiente e tollerante, di chi ti capisce e ti accompagna anche in ogni tuo limite.

Jutta Steigerwald

Jutta Steigerwald

Una persona speciale

Ho conosciuto Giuseppina nel contesto della Campagna Nord-Sud: Biosfera – Sopravvivenza dei Popoli. Alex Langer ne era l’ispiratore. Io ero tra i co-fondatori, prima coordinatrice e poi presidente. La Campagna è durata 7 anni, dal 1988 al 1994, e ha impegnato persone – non associazioni – provenienti da tutto il mondo, appartenenti a culture diverse: femminismo, impegno religioso, etico e culturale, sindacato.

Giuseppina era entusiasta di questa iniziativa per una rete nazionale e internazionale, dei suoi contenuti e della sua visione, delle discussioni e dello scambio di esperienze tra chi vi partecipava. Ne scriveva sul suo giornale – il manifesto – su cui faceva spazio anche ad alcuni di noi, primo tra tutti Alexander Langer, l’autore dell’Appello che aveva lanciato la Campagna nel 1988. Giuseppina aveva capito subito la portata di questa iniziativa, una rete con le sue connessioni locali/nazionali e globali, destinata ad avere un impatto culturale, sociale, ecologico, economico e politico. Il linguaggio con cui ne parlava e scriveva si distingueva sempre di più da quello dei suoi colleghi giornalisti, che scrivevano allora sulmanifesto su temi analoghi a quelli della Campagna.

Tutto questo non era ovviamente facile, per lei. Ma aveva la grinta e l’apertura mentale sufficienti per non piegarsi, neanche quando doveva arrivare ad un compromesso con quelli che non erano ancora arrivati dove lei era arrivata, come ogni tanto spiegava “amorevolmente”: era, questo, uno dei sui grandi meriti. La Campagna Nord-Sud era per lei fonte di informazioni e di incontri con persone provenienti dai molti angoli del mondo, impegnate in attività concrete con le loro comunità. 

Giuseppina era sempre entusiasta e curiosa di partecipare ai viaggi che la Campagna Nord-Sud organizzava in prima persona o tramite le sue strutture come l’Osservatorio, la campagna sulla Banca Mondiale e il Fondo Monetario internazionale, quella sull’Indonesia e quella sulle Donne. Non erano viaggi turistici; spesso erano viaggi faticosi, impegnativi, ma Giuseppina prendeva le fatiche con buon umore, convinta come era che “insieme” si poteva migliorare la vita di tutti e di ognuno. Giuseppina era infatti capace di vedere il rapporto molto stretto tra la propria vita e quella degli altri.

 Giuseppina ha saputo coniugare positivamente le sue esperienze politiche e femministe con quelle ecologiche. Si documentava e cercava punti di riferimento eticamente e culturalmente aperti. Il suo intelletto raffinato e le sue antenne – che potremmo definire spirituali – hanno fatto di lei una giornalista speciale, di esempio per i giovani di età e di spirito. Parlava e scriveva con un linguaggio franco e sincero, che è oggi sempre più importante. Grazie, Giuseppina, di avermi dato l’opportunità di fare insieme un pezzo di strada. Finché lei scriveva, si poteva intravedere un altro mondo – tranne quando era arrabbiata o triste, e ogni tanto capitava.

 Un detto tibetano afferma che l´albero che cade fa rumore, mentre il bosco che cresce non lo fa. Giuseppina ha visto tutti e due i fenomeni, e si è sempre schierata dalla parte del bosco, denunciando la violenza di chi taglia l’albero, usandone per sé i resti. 

Lidia Campagnano

Lidia Campagnano

Una rimeditazione alla luce del femminismo

Quando Giuseppina ci ha lasciate ho scritto, d’istinto, a proposito del nostro esserci disperse. Sì. Perché la relazione tra me e lei era nata e aveva messo radici in una temperie tutta particolare. Una temperie politica. Ci aveva legate l’essere nel gruppo politico delmanifesto e poi l’aver promosso – con altre: Biancamaria Frabotta, Paola Redaelli, Liliana Boccarossa – quel tipo di femminismo che non voleva rinunciare a dire la sua sulla necessità e maturità di una rivoluzione universale inedita, la più ampia, la più profonda, la più radicale. Così che il nostro disperderci, poi, ha avuto un senso che non voglio smettere di indagare. E che forse ha a che vedere con una forma di amicizia diversa da tutte le altre così come diversa da tutte le altre era la forma del nostro impegno politico.

Eppure, ora che, mentre scrivo, immagino riunite le persone a lei care per ricordarla, mi torna alla mente un momento più intimo: passeggiamo insieme a Villa Celimontana, prima di recarci alla riunione del comitato centrale del Pdup, immerse in una luce molto dolce, dorata, e lei mi racconta di sé giovane studentessa che porta sotto quegli alberi il suo bambino. Parlava di una vita molto dura ma la sua stessa voce era una lezione di coraggio, di volontà, di vitalità. Di lei pensavo che era molto romana: lontana da ogni retorica, essenziale nei valori, ironica e avventurosa. Ma appunto, consapevole delle durezze della vita fin dagli anni più giovani.

Che cosa pensasse invece lei di me, non l’ho mai saputo. Non importava. Importava un fidarsi reciprocamente di ciò che andavamo facendo. Importava il valore che attribuivamo a quel fare e forse importava soprattutto il sapere che ciascuna stava cercando, in buona compagnia, il proprio modo di essere o diventare donna in assenza di modelli ma in presenza di tutte le possibilità più innovative, più affascinanti, più libere…pagando il dovuto prezzo, s’intende. E in questo diventare donne ci regalavamo distrattamente i tesori più preziosi: racconti di amori, case ospitali, scoperte del pensiero, lunghe gonne, ottimi libri. Com’era brava Giuseppina: da lei ho imparato come si fa a riunire un gruppo di donne mai viste prima – mi portò con sé in una borgata romana di quelle toste – e a proporre loro quella cosa mai sentita che si chiamava autocoscienza. E di sicuro mi ha ispirato l’energia necessaria per litigare con dirigenti politici ostinatamente e incoscientemente maschilisti.

Ma ci siamo disperse e ora soffro di questa irrimediabile dispersione se penso che avrei voluto fare anche con lei un bilancio delle nostre vite, alla maniera dell’autocoscienza. Perché la mia ammirazione per lei è intatta ed è il bisogno di lei.

L’ho vista per l’ultima volta nel corridoio di un ospedale dove ci curavamo della stessa malattia. Ho pensato: un’altra trincea insieme. L’ho abbracciata forte, abbiamo sorriso l’una per l’altra. Mentre lo racconto, risento quell’abbraccio in tutta la sua dolcezza. Lei è ancora nel mio cuore.