Dai primi utensili prolungamento del corpo umano alle tecnologie sofisticate contemporanee, le macchine nascono ambigue: strumento di liberazione o di asservimento? Con la Rivoluzione Industriale la loro evoluzione sarà rapidissima. Non fu facile trasformare in operai gli artigiani e i contadini inurbati dopo l’esproprio delle terre comuni, la resistenza è stata ampia e tenace. Il luddismo è passato alla storia come il movimento che distruggeva i nuovi telai meccanici ma il bioregionalista Kirkpatrick Sale interpreta diversamente: i seguaci del fantomatico Ned Lud lottano per difendere valori, modi di vivere, libertà (1811-13).
Gli artigiani non volevano abbandonare le cottage factories dei villaggi e la vita nelle loro comunità per lavorare in opifici scanditi dal ritmo del profitto, con strumenti su cui non avevano alcun controllo. Rifiuto della servitù (“Rebels Against the Future”,1995). Sessant’anni più tardi Samuel Butler immagina una civiltà convinta che le macchine avrebbero dominato l’umanità usando gli uomini stessi per evolversi, e le mette fuori legge (“Erewhon” 1872). La critica della Rivoluzione industriale, con tonalità differenti, segnò l’Inghilterra per tutto l’Ottocento, Marx e Engels ma anche una schiera di intellettuali, artisti, poeti, scrittori, politici, funzionari pubblici per i quali la produzione industriale degradava il lavoro, sfruttava e toglieva dignità ai lavoratori, distruggeva la natura. Il primo discorso di Byron alla Camera dei Lord fu contro la pena di morte invocata per i luddisti e Percy B. Shelley dopo una visita nei distretti industriali scriveva di odiare ogni tipo di fabbrica. L’analisi più lucida e potente la espresse John Ruskin, appassionato cultore del lavoro creativo che vedeva realizzato nell’artigianato medievale e con lui William Morris, poeta, scrittore, imprenditore, socialista, ispiratore della Arts and Crafts.
Negli Stati Uniti le macchine sono invece al centro dell’utopia socialista di Edward Bellamy (“Looking Backward, 1888), urbana e centralizzata. La Boston del futuro è una metropoli edificata secondo igiene e ordine, fitta di grandi centri commerciali con merci “per ogni desiderio”. La sua organizzazione militare del lavoro anticipa il “management scientifico” di W. Taylor. William Morris risponde con “Notizie da nessun luogo” (1891), utopia comunitaria e libertaria in una Londra risanata, senza fumi di fabbrica e colorata di giardini. Rifiuto della produzione in serie. Lavoro libero e poteri degli artigiani sul prodotto. Comunità rurali. Estinzione dello Stato. Educazione libera, sessualità aperta. Ma le macchine evolvono negli Stati Uniti di Bellamy. Nel 1913-4, a Detroit e Chicago, Henry Ford realizza i principi di organizzazione del lavoro di Taylor che adatta i lavoratori, fermi al loro posto, alle macchine. Nasce la catena di montaggio. Singole operazioni suddivise in gesti elementari e ripetitivi, ogni operaio su un unico pezzo. I movimenti sono “efficienti” e veloci. Tempi ridotti, più produttività, standardizzazione dei prodotti. Domesticazione e controllo degli esseri umani. Henry Ford cercò di industrializzare anche l’Amazzonia. Vi fonda una città e pianta hevea per la gomma dei pneumatici. Un fallimento. Non conosce i principi della vita e allinea gli alberi come le macchine di una fabbrica. Parassiti e funghi distruggono le piantagioni. Speranza nel selvatico ribelle.