Quarant’anni fa “I limiti dello sviluppo”, primo rapporto del Club di Roma, fu accolto dalla sinistra con diffidenza. Un limite alla crescita (il titolo inglese è “The Limits of Growth“) contrastava con lo sviluppo industriale, fondamentale per il benessere fino allora raggiunto e appariva un diversivo che distoglieva da problemi ben più stringenti, una strategia per l’ennesima mutazione del capitalismo. Ancora oggi il Club viene accusato di essere «un centro di comando per la propagazione mondiale del programma maltusiano per la crescita zero nella società postindustriale» , al servizio dei piani di dominio di élite mondiali (Daniel Estulin, “Il club Bilderberg”). La tesi dell’esaurimento delle risorse, in particolare del petrolio, in realtà suscitò polemiche ben oltre la sinistra ma dagli anni Duemila la prospettiva è cambiata. È oggi evidente che viviamo in un pianeta limitato con stili di vita non adeguati, l’acqua stessa è diventata scarsa, il petrolio ha raggiunto il suo picco e la crescita continua è in discussione in tutto il mondo. L’accoglienza dei comunisti italiani fu più articolata. L’Istituto Gramsci già un anno prima, nel 1971, aveva organizzato un convegno su ambientalismo e marxismo e Dario Paccino, convinto della crisi ambientale ma fautore di un ecologismo conflittuale non gestito da tecnocrati, scrisse “L’imbroglio ecologico “. La Chiesa cattolica contestò con forza la politica di contenimento delle nascite sottesa alla ricerca. Nell’esauriente saggio “I limiti dello sviluppo in Italia. Cronache di un dibattito, 1971-74” (Quaderno 1, Altronovecento) appena uscito, Giorgio Nebbia e Luigi Piccioni ricostruiscono nei dettagli l’accoglienza del mondo culturale e politico italiano al rapporto compilato con un metodo innovativo. Incaricati dal Club fondato da Aurelio Peccei nel 1968, Donella Meadows e gli altri ricercatori del Mit di Boston utilizzarono l’analisi dei sistemi e costruirono scenari correlando nell’arco di tempo dal 1900 al 2100 alcune grandezze – popolazione, cibo, industria, risorse non rinnovabili e inquinamento – per individuare come fossero variate e quali tendenze future manifestassero. Al termine dello studio la relazione tra l’aumento della popolazione, la domanda di cibo e la crescita della produzione industriale indicava una diminuzione certa e drastica delle risorse naturali. Per il Club si era concluso un ciclo della storia umana e iniziava una fase di “problematica globale”. Bisognava avere il senso del limite, cambiare produzione e consumo, aprire la mente. I rapporti seguenti insistono sul lavoro culturale e sul ruolo dei giovani, fondamentale per Peccei, un italiano fuori dell’ordinario. Partigiano, manager Fiat di successo, inventore dell’ltalconsult, amministratore delegato della Olivetti dopo la morte improvvisa del fondatore, ha dedicato l’ultima parte della sua vita alle emergenze planetarie. In un’intervista per “il manifesto” indicava gli elementi necessari per risolverle: una leadership politica autorevole, cambiare la mente perché «le soluzioni ai problemi non vengono dal sistema concettuale che li ha provocati», e aprirsi: il futuro «è nei cuori degli uomini». Nel 1993 Ervin Laszlo, membro autorevole del Club di Roma, ha fondato il Club di Budapest, un centro internazionale che lavora su un nuovo modo di pensare e agire per il XXI° secolo, punto di svolta per il destino della Terra, «nello spirito della coscienza planetaria».