Raymond Williams, uno dei padri fondatori dei cultural studies inglesi, in «Socialism and Ecology» (1982) scrive come in Gran Bretagna le due tradizioni abbiano proceduto parallele incontrandosi soltanto nell’Ottocento con William Morris con esiti, ritiene, non brillanti. E questo perché solo il socialismo poteva operare la sintesi. Il socialismo reale è crollato lasciando una condizione ambientale disastrosa ma la sinistra ancora oggi ignora l’ecologia o la ingloba nelle proprie categorie. Come John Bellamy Foster che riscopre un Marx ecologista, tesi tirata per i capelli. Un passo in avanti importante lo fa il marxista James O’Connor, che elabora, usando anche Polanyi, la «seconda contraddizione»: oltre il lavoro c’è la natura, analisi svolta nella rivista «Capitalismo Natura Socialismo». E Murray Bookchin e Colin Ward riprendono la tradizione ecologista comunitaria anarchica.
Quando negli anni Novanta movimenti antagonisti debuttano sulla scena mondiale, la sinistra radicale riconosce soltanto gli aspetti a lei familiari: la lotta al neoliberismo negli zapatisti e non il risveglio indigeno o, dopo Seattle, la critica della globalizzazione economica e non le radici annose, ben piantate nella difesa della natura, di un attivismo fino allora ignorato. Stessa dinamica oggi rispetto ad Occupy Wall Street e agli lndignados, seguiti soprattutto come anti neoliberisti. Ecologia e sinistra riprendono contatto nel Nord con i gruppi per la giustizia ambientale, che si battono per il diritto ad un ambiente pulito e sano e per questo lottano contro discariche, centrali, raffinerie, fabbriche inquinanti dislocate nelle aree abitate dai più poveri. Nel Sud un incontro fecondo è l’ecologia sociale (Gudynas, Evia, Shiva, Maathai) e l’ecologismo dei poveri, elaborato sulla base delle lotte di migliaia di comunità che difendono i commons da cui dipende la loro sopravvivenza. (Martinez Alier e Ghua), entrambi segnati da un’ecologia profonda tradizionale. Ma l’interesse della sinistra «politica» resta puntato su capitale e lavoro. Pensiero occidentale, patriarcale, urbano, moderno e post moderno anche con Toni Negri e Michael Hardt. «Moltitudine» e «Comune» discendono più dalla loro teoria dell’Impero che dalla conoscenza del movimento antagonista planetario. L’astrazione «comune» ingloba tutto e la natura diventa un tema non di grande rilevanza, mentre proprio la difesa dei commons e dei beni naturali planetari ha riproposto con forza la politica dei beni comuni. Anche la battaglia per l’acqua, un mito fondatore, rischia di essere ridotta a mera lotta contro la privatizzazione. Le cose cambiano in America latina, soprattutto con l’indigenismo. Evo Morales, presidente della Bolivia, è esplicito: «Siamo molto più in là del socialismo tradizionale marxista…vogliamo l’armonia con madre natura». Lo riconosce Noam Chomsky tanto da considerare la Carta delle Foreste inglese, che invocava la protezione dei commons, più importante della Magna Carta. «La Dichiarazione universale dei diritti di Madre Terra approvata in Bolivia è stata messa in ridicolo dai raffinati occidentali» che invece farebbero meglio «a fare propria la sensibilità indigena» (Interna zionale 2012).