La terza via della sinistra

L’ineguaglianza economica cresce senza sosta nel mondo. Se n’è accorto anche l’Economist, preoccupato: un divario così esteso «riduce la mobilità sociale e compromette la prosperità futura». La voce del liberalismo mondiale non fa sconti a nessuno, la colpa è sia dello Stato che del mercato e, sostiene, è compito del capitalismo dare risposte a « una delle maggiori sfide del XXI secolo». Può farlo con una «nuova forma di politica centrista radicale che abbassi il gap senza danneggiare la crescita»: il «True Progressivism», reinvenzione del riformismo di Lloyd George e Theodore Roosevelt.
Le ricette restano liberiste ma temperate da politiche d’equità che riducano lo scarto: investimenti per i giovani cominciando dall’istruzione per i bambini con incentivi per gli insegnanti, economie più bilanciate, togliere i sussidi alle istituzioni finanziarie «troppo grandi per fallire» e rimuovere le rendite improduttive che sono dietro a molte ricchezze, tasse sulle grandi proprietà e sulle eredità non per punire i ricchi ma perché servono fondi per la spesa sociale, meglio gestita e orientata secondo il modello America Latina, unica regione dove il divario è diminuito. Obiezioni perfino sulla meritocrazia: «Even the sort of inequality produced by meritocracy can hurt growth». Se il divario di reddito è troppo ampio viene minata l’eguaglianza di opportunità, soprattutto nell’istruzione. Dall’analisi dettagliata delle politiche di Stati Uniti, Svezia, Cina, India e America Latina il periodico britannico conclude che non c’è una sola linea di intervento ma è fondamentale ovunque spezzare il legame oligarchico tra politici e plutocrati (cronysm), investire sui giovani e trasferire ricchezza verso i poveri.
Negli Stati Uniti, il paese con il divario più forte, i Repubblicani sbagliano a chiedere altri tagli alle tasse per i ricchi e Obama è stato troppo timido nel contrastarli. E il tagliare e punire sostenuto in Italia da esperti e politici perché la globalizzazione e la crisi «ce lo chiedono»? A volte i grandi capitalisti vedono più lontano dei liberisti duri e puri e della sinistra che ha introiettato la sconfitta. Il «True Progressivism» dell’Economist va nella direzione opposta della Terza Via di Anthony Giddens e Tony Blair, che in teoria doveva conciliare giustizia sociale e globalizzazione ma nei fatti ha spostato la Gran Bretagna e la sinistra nel campo del libero mercato senza regole. Quando il New Labour nel 1997 vince le elezioni, due formidabili strateghi, Alstair Campbell e Peter Mandelson, «il principe delle tenebre» per il noto quindicinale satirico Private Eye, mutano la Gran Bretagna estenuata dall’era Thatcher in «Cool Britannia». Londra è pop e tutto è new. La cartina di tornasole è la politica economica: Londra centro della finanza mondiale con Wall Street. Stretta osservanza delle logiche della globalizzazione economica e speculazione. Muore l’industria manifatturiera e l’istruzione diventa competenza del Department of Business.
Education e Community, slogan della campagna elettorale, scompaiono.
Guerra in Iraq, attentati, politiche di sicurezza. Ricchi più ricchi, aumentano i poveri. Esperimento concluso. Nel 2010 i Tories tornano al potere e il New Labour alle origini. Oggi è primo nei sondaggi