Il buon governo e la cura

Nella Sala dei Nove del “Palazzo Pubblico di Siena, Ambrogio Lorenzetti dipinse le “Allegorie del Buono e del Cattivo Governo e dei loro effetti in Città e Campagna” (1338-9), immagini evocative di un’arte politica che persegue il “ben comune” e non il proprio interesse, ispirata dalle virtù cardinali e teologali. La Giustizia ha un ruolo primario perché “là dove regge”, produce la concordia e la pace, quindi sicurezza e prosperità del Comune. Il paesaggio urbano e rurale rappresentato, attivo e festante, è l’incarnazione della buona politica in un territorio reale, la Val d’Orcia, riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Secoli dopo, nel mondo delle meraviglie moderne, crisi finanziarie, sociali e ambientali manifestano piuttosto quel Cattivo Governo condannato anche dalla “Maestà” di Simone Martini, una Madonna severa con chi inganna la propria terra e vessa i deboli. Per eliminare il ristagno che ha guastato la società i Ching, millenario libro di sapienza cinese, suggerisce un’azione drastica, una sorta di pulizia delle stalle di Augia : riformare la vita politica, scuotere l’opinione pubblica, rettificare gli errori del passato. Ma è necessario capire le cause della corruzione per poterle eliminare e iniziare un nuovo percorso, evitando ricadute. Il passo successivo lo suggeriscono i contemporanei: praticare la cura.
Dopo il “Manifesto delle madri”, stilato dalle Verdi tedesche alla vigilia del vertice mondiale su ambiente e sviluppo Rio ’92, le donne che poi animarono lo spazio fisico Pianeta Femea si confrontarono a lungo su alcune qualità della differenza femminile. Furono le prime riunioni internazionali nelle quali si è parlato di cura, anche in modo conflittuale. Si misuravano le esperienze del neo femminismo europeo e americano con le riflessioni e le pratiche delle ambientaliste e delle leader di comunità asiatiche e del Sud del mondo. Era forte nelle occidentali e nei vissuti più emancipazionisti il timore che la cura fosse considerata missione materna marginale.
Per le altre era lo strumento principe per dare soluzione ai problemi locali e planetari attuali: il divario ricchi-poveri, il cambiamento del clima, la perdita di biodiversità, l’inquinamento e la distruzione dei territori. La riflessione è andata così avanti che Martha Nussbaum vuole «rifondare teorie etiche e cittadinanza» sulla base della cura e per Luigina Mortari «sono proprio i modi positivi dell’aver cura a rendere possibile il fiorire di una civiltà…da questi dipende la possibilità che la vita sia conservata, riparata e fatta fiorire». La cura vuole responsabilità verso gli altri esseri umani, in particolare i più deboli e indifesi, gli animali, le piante e i minerali (Le pietre e l’anima, Jung) e cambia l’agire politico, riaggiusta il mondo e il proprio territorio, mette in campo un altro ordine di valori e nutre le alternative. «Preoccuparsi di questo fiume, di questo ettaro di suolo, di questa specie vivente, di questo albero e al tempo stesso agire in un’ottica universale. La cura della natura è necessità altruista non meno che egoista» (Alexander Langer), e lo è anche l’amore degli oggetti: produrre beni durevoli, non usa e getta, fare manutenzione e riusare (Guido Viale).