Elizabeth Kolbert è partita con un obiettivo preciso: documentare il cambiamento climatico. Ha viaggiato in America, in Europa e nelle aree polari. Ha parlato con scienziati e archeologi, con gli abitanti locali. Ha letto i rapporti scientifici più importanti degli ultimi trent’anni. Nel 2005 ha raccontato le spedizioni in tre articoli pubblicati dal New Yorker, diventati poi un libro, Cronache da una catastrofe, uscito quest’anno in italiano per Nuovi Mondi Media, con cui affronta anche la relazione tra scienza e politica del riscaldamento globale. Kolbert descrive eventi macro e fenomeni minuti. Osserva migrazioni inconsuete di farfalle e si inoltra nelle foreste tropicali dal regime delle piogge mutato. Viaggia nelle zone polari dove le calotte si stanno sciogliendo: se dovessero crollare, e l’ipotesi non è fantasiosa, il livello di tutti i mari si alzerebbe di dieci metri. Studia i risultati di ricerche su antiche civiltà scomparse per siccità prolungate. Convinta che il cambiamento climatico sia un fattore potenzialmente destabilizzante dal punto di vista geopolitico, giudica ottusamente colpevoli le risposte dei governi e delle grandi imprese. Secondo Kolbert gli Stati Uniti hanno il governo che più promuove gli «scettici» sull’effetto serra, insieme a Exxon, General Motors e ai gruppi produttori di carbone. Disinformazione voluta, perchè «tra i veri scienziati è praticamente impossibile dimostrare che vi è disaccordo sui dati fondamentali riguardanti il riscaldamenti globale», e irresponsabile: le misure locali sono importanti – lo dimostra l’iniziativa comune lanciata nel 2005 dai sindaci Usa – ma per modificare l’economia in modo da contrastare l’emissione di carbonio, è necessario l’intervento dei governi.
Se l’inchiesta di Elizabeth Kolbert è un invito pressante all’azione rivolto alla società civile e ai governi, l’ultimo libro dello scienziato inglese James Lovelock, La rivolta di Gaia (Rizzoli), è lapidario: la civiltà è a rischio serio di scomparsa. Potrebbe essere già troppo tardi per prevenire un cambiamento irreversibile del clima. Ma non tutto è perduto: se agiamo subito, possiamo guadagnare un po’ di tempo.
A differenza dei testi in cui esponeva le sue idee piuttosto eccentriche, la «rivolta» non ha avuto l’eco che meritava. forse a causa dell’opzione nucleare. I «pro nuke» hanno esultato, relegando in secondo piano l’allarme rosso che veniva lanciato, mentre gli ambientalisti hanno di fatto ignorato il volume. Giudizio superficiale e decisione eccessiva. Si può essere contrari all’uso dell’energia nucleare per fissione e favorevoli piuttosto alla riduzione dei consumi, alla de-crescita conviviale, senza per questo gettare via il contributo scientifico e umano di Lovelock. Che è un grande scienziato, capace di lavorare sull’atmosfera di Marte con la Nasa e allo stesso tempo di inventare un congegno semplicissimo ed efficace che indica la presenza anche infinitesimale di pesticidi. Ma, con Lynn Margulis, è soprattutto autore dell’ipotesi Gaia, secondo la quale la Terra è un organismo vivente che autoregola la propria temperatura e la propria chimica; attività diretta a garantire l’abitabilità del pianeta. Un’idea che nel 2001 è stata finalmente accettata dalla comunità scientifica. Lovelock è quindi lo scienziato che più conosce il modo di funzionare della Terra e se afferma che il sistema di autoregolazione di Gaia sta collassando, dobbiamo starlo a sentire.
A questo punto, sostiene, è profondamente sbagliato continuare con il business as usual ma anche con lo sviluppo sostenibile perchè non abbiamo tempo: «la febbre del riscaldamento può essere già fuori controllo» e «quando la Terra avrà cominciato la rapida transizione al suo nuovo stato più caldo, il cambiamento climatico sconvolgerà la politica e l’economia». Eventi straordinari potrebbero abbattersi su ogni regione: inondazioni e tempeste mai viste da migliaia di anni, «ondate di calore intollerabili e letali» di cui nell’estate del 2003 abbiamo avuto un assaggio. Dobbiamo dunque cessare il consumo di combustibili fossili il più rapidamente possibile e diminuire le aree destinate all’agricoltura industriale, attività che produce erosione e inquinamento, privando Gaia di ecosistemi naturali che le sono necessari per mantenere stabile il clima e la chimica del pianeta.
Lovelock si ritiene uno scienziato interno al mondo «verde» ed ha una grande stima per gli ecologi profondi Arno Naess, Teddy Goldsmith e Stephen Harding. Li ritiene testimoni di un retto modo di vivere e pionieri cui affidare il lascito della civiltà se non riusciremo a fermare il riscaldamento globale. Ma finché sarà possibile vuole tentare di tutto per impedire la devastazione della Terra. Pensa persino a ingegnerie spaziali per diminuire la temperatura – ombrelli cosmici e simili. Sa che ci manca ormai la percezione intuitiva del pericolo in cui si trova Gaia, e noi con lei, così ci invita a immaginare cosa sarebbe la nostra vita senza energia: la nostra civiltà si fermerebbe e piomberebbe nel caos. I rimedi che propone sono sul breve e lungo periodo. Per l’oggi indica le centrali nucleari, di cui ritiene esagerati i pericoli prospettati. E’ certo la soluzione più semplice per la Gran Bretagna, che sta per spendere miliardi per smantellare quelle che aveva costruito. Sul lungo periodo pensa a un mix di energie, prime fra tutte la fusione nucleare e il solare. E’ contrario alle centrali eoliche, salvo per le grandi pianure degli Stati Uniti e della Russia, perché perturbano il clima locale e deturpano paesaggi nati dalla sapiente relazione tra lavoro umano e natura, e inutili se vicino alle coste visto che l’innalzamento del livello dei mari le spazzerebbe via.
Fantasie? Timori assurdi? Forse lo scenario futuro non è così fosco ma il pericolo è reale. Noi intanto perdiamo tempo confliggendo su problemi secondari invece di mutare radicalmente i nostri stili di vita preparandoci a fronteggiare le emergenze con politiche comuni a livello locale, nazionale e planetario. Non cerchiamo di creare un’economia che consenta a tutti di soddisfare i bisogni di base senza aggiungere gas serra agli attuali, anzi, diminuendoli. Dovremmo cambiare mentalità, abbandonare l’idea di dominio. Capire che l’ambiente non è modificabile a nostro piacimento, che ci sono vincoli cui dobbiamo adeguarci. Che è necessario comprendere come funziona Gaia perché il nostro benessere, la nostra vita, dipendono dalla sua salute.
Dopo anni di ricerche la comunità scientifica internazionale non è nè divisa nè incerta: esiste l’effetto serra, il clima sta cambiando e una delle cause più rilevanti, e l’unica su cui possiamo intervenire, è l’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica derivata dalla bruciatura di combustibili fossili. In discussione sono i tempi del cambiamento, quali fenomeni provocherà e la loro intensità, quali misure prendere. La scarsa lungimiranza dei politici e le pressioni delle grandi imprese petrolifere hanno impedito finora di agire le strategie radicali raccomandate dagli scienziati. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso tra i politici. Vedremo da domani a Nairobi, se sono volontà serie o soltanto manovre elettorali.

Il manifesto 05/1/2006