Il Nobel è stato una sorpresa per Wangari Maathai, la prima africana a riceverlo. Scienziata, ambientalista, attivista per la democrazia e per i diritti umani, ieri ha pianto ed ha piantato un albero, una specie locale, il Nandi Flame. Il Comitato norvegese le ha assegnato il premio «per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace» e per la prima volta ha indicato nella «nostra abilità di proteggere il nostro ambiente naturale» il presupposto della pace. Premiato anche l’approccio olistico di Maathai, che unisce ecologismo, democrazia e diritti umani, in particolare quelli delle donne. Nata in Kenya nel 1940, Wangari Maathai ha tre figli ed è divorziata. Si è laureata in biologia negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio. Tornata in patria nel 1966 si è dedicata alla ricerca veterinaria presso l’Università di Nairobi. E’stata la prima donna dell’Africa orientale a prendere un Ph-D e il primo capo dipartimento donna di una università del suo paese. Ma non è rimasta a lungo nei recinti universitari. Gran parte del Kenya è ormai privo di foresta e il taglio non si ferma. Il deserto avanza e la povertà aumenta. Maathai è convinta che fermare l’erosione del suolo, fornire legna da ardere per cucinare e gli altri prodotti della foresta, siano la chiave per la sopravvivenza delle comunità. L’idea nuova sarà il Green Belt Movement, da lei creato nel 1977, che pianterà in Africa più di 30 milioni di alberi. Maathai punta decisa sulle donne africane, cogliendone il ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle comunità e le grandi potenzialità di gestione sociale e politica. Protagoniste saranno infatti le donne dei villaggi, che dalla forestazione otterranno anche un piccolo reddito, migliorando la loro condizione. Per questo già dal 1976 lavora per il National Council of Women del Kenya, di cui sarà presidente dall’81 all’87.
La difesa degli alberi la pone in rotta di collisione con il potere e con il regime del presidente Daniel arap Moi. Negli anni Ottanta lotta contro la cementificazione del parco principale della capitale, l’Uhururu. Viene arrestata più volte, picchiata. Nel 1991 Amnesty International promuove una mobilitazione internazionale per la sua liberazione (il manifesto ne scrisse e la sostenne). Nel 1999 viene ferita mentre piantava alberi nella Karuna Public Forest di Nairobi, forma di protesta pratica per fermare la deforestazione. Attivissima nella coalizione per la democrazia, viene eletta deputata nel 2002. L’anno seguente il nuovo presidente, Mwai Kibabi che ha sconfitto Moi dopo 24 anni di potere ininterrotto, la nomina Sottosegretario all’Ambiente.
Negli anni piovono i premi e gli incarichi, istituzionali e di movimento. Nell’84 riceve il Right Livelhood Award, più noto come Nobel alternativo. Creato da Jakob von Uexell per premiare movimenti e gruppi che delineano stili di vita semplici e socialmente equi per il maggior numero di persone possibile, viene assegnato ogni anno a Stoccolma il giorno prima della consegna dei Nobel. Il Goldmann Prize per l’ambiente arriva nel 1991. E ancora il prestigioso Premio Africa dell’Onu. L’ultimo è il Sophie Prize, assegnatole quest’anno a Oslo. Maathai è stata Visiting Fellow alla Yale University’s Global Institute for Sustainable Forestry nel 2002. E’ tra i 500 personaggi eminenti segnalati dall’Unep, l’agenzia per l’ambiente dell’Onu, e tra le «100 eroine» del mondo contemporaneo.
Non è facile raccontare l’incontro con lei. E’ un’esperienza molto particolare. Nel 1992 a Rio de Janeiro era una delle animatrici di Planeta Femea, lo spazio delle donne della società civile presenti al Vertice mondiale dell’Onu su ambiente e sviluppo. Allora Bush padre non firmò la convenzione sulla biodiversità perché «contraria agli interessi degli Stati uniti», stroncando le esili speranze dello sviluppo sostenibile. La tenda delle donne al parco do Flamengo era il luogo più vivace e stimolante. Wangari Maathai, carismatica, forte e disponibile, arrivava al cuore e ti lasciava attonita perché vedevi in lei completamente manifestata quella luce intensa racchiusa forse in ogni essere umano.
Sorprende sempre la scarsa notorietà nel nostro paese di personalità eminenti come Wangari Maathai. Dipende forse dal suo appartenere a un tipo di intellettuale che ancora non viene riconosciuto come tale. Un intellettuale impegnato dotato di visione ma anche di senso pratico, che pensa e agisce in sintonia con le popolazioni locali mentre costruisce reti planetarie. Difende le foreste e i fiumi, lotta per la giustizia sociale e per i diritti umani. Non vede steccati ma relazioni tra le politiche di pace, quelle economiche e le ambientali. E’ un intellettuale diffuso dagli anni Settanta-Ottanta soprattutto nel Sud del mondo, con forti legami Sud-Sud ma anche Nord-Sud. L’humus è il debito estero tragico del Terzo Mondo, la distruzione delle foreste e con esse dei mezzi di sussistenza di milioni di indigeni, contadini e pescatori, l’aumento enorme della povertà in Asia, Africa e America latina. Sono gli anni in cui nasce la pratica e la teoria dell’ecologia sociale dei poveri proprio quando in Occidente si ritiene che l’ambientalismo sia un lusso dei ricchi. Si formano in quegli anni l’indiana Vandana Shiva, gli uruguaiani Roberto Bissio e Eduardo Gudynas, il malese Martin Khor, il filippino Walden Bello, le brasiliane Mary Allegretti e Marina Silva, oggi ministro dell’ambiente del governo Lula, che hanno elaborato con Chico Mendes i progetti per estrarre caucciu senza distruggere la foresta amazzonica.
Maathai è attivissima nel network mondiale Nord-Sud che ne scaturisce. E’ a Londra, nel 1985. E’ la prima volta di un appuntamento poi noto, The Other Summit (L’Altro Summit), organizzato ogni anno in coincidenza con l’incontro annuale dei g7 dalla New Economics Foundation , il gruppo inglese che tenta di definire un’altra economia. Dagli Stati uniti arrivarono anche la futurologa statunitense Hezel Handerson, che parlerà dei nuovi indicatori economici, e i Lappè, fondatori di Food First. Maathai è nel gruppo dedicato all’agricoltura. Quindici anni dopo è tra i promotori di Jubilee 2000, la coalizione che lotta per abolire il debito estero del Terzo mondo. Sarà presente poi nei grandi appuntamenti mondiali dei movimenti: a Seattle, nei Forum sociali mondiali, e a Canberra, nel 2001, per il primo incontro mondiale dei Partiti verdi. Maathai ormai si muove sulla scia dei grandi protagonisti della sua Africa, da Mandela a Sankara a Cabral, e accanto ai nuovi protagonisti del risveglio africano: artisti, musicisti, ambientalisti, attivisti sociali e scrittori. Da Wole Soynka a Ken Saro Wiwa a Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali. Ma nei Forum mondiali le lotte ambientaliste, spesso centrali nelle resistenze locali al neoliberismo, alle privatizzazioni e alla globalizzazione economica, non hanno avuto l’attenzione che meritano, necessaria a capire i movimenti esistenti e a prefigurare alternative credibili. Il nesso tra protezione della natura, giustizia sociale e pace ancora sfugge purtroppo anche a gran parte della sinistra, vecchia e nuova. Il premio Nobel della pace a Wangari Maathai fa giustizia di questa rimozione.

Il manifesto 09/10/2004